Feeds:
Articoli
Commenti

Archive for the ‘Bios graphein’ Category

Questo slideshow richiede JavaScript.

C’è un piccolo villaggio abbandonato nel Canal di Cuna, un lembo verde che serpeggia la Val Tramontina, che si chiama San Vincenzo. C’è una chiesetta, restaurata dal C.A.I., e qualche casa diroccata. Sul fianco della chiesa dedicata al Santo, dove i ghiri hanno trovato una calda alcova, c’è una targa che porta questa iscrizione: ” San Vincenzo in canal di Cuna,visse di vita, vive di storia “.

Ed è dove si ferma il racconto di San Vincenzo che inizia il capitolo più bello per Topolò, una frazione di Grimacco (UD), che aveva conosciuto la stessa fine del villaggio della Val di Cuna, consegnato alla storia come insediamento umano e ora museo a cielo aperto, in attesa che il vento e le piogge lo consumino. Ma a volte la storia, con la sua predestinazione, s’innerva nello spirito di un popolo e cambia strada. E’ proprio questo che colpisce di Topolò, la sua natura stratificata, quasi a leggerne geologicamente i cambiamenti. Abbarbicato sul crinale di una collina, domina una vallata di dolci pendii, come solo il Natisone sa regalare. Per la precisione di un suo affluente, il Còsizza, i cui meandri sgomitano nella vallata che porta il suo nome. La tenace caparbietà umana di volersi insediare in questo rigoglioso e selvaggio angolo di verde, s’integra perfettamente con l’amenità quasi impudente della natura, quando il manto di case di apre allo sguardo all’ultimo tornante (senza guard rail, occhio). Il faticoso incedere lungo le calli di sassi ci ricorda quanto dura dev’essere stata la nascita, quanto la rinascita. E il sommarsi di queste esperienze di vita trasformano un piccolo borgo, in una metropoli dell’anima, dove il senso di deja vù si mescola ad una sensazione di straniamento, di confusione. Le case crescono disordinate come gramigna, si buttano l’una sull’altra, si gettano a capofitto nel vuoto, restano sospese, pesanti come la vecchiaia, come i covoni, come il sudore. Ci viene concessa una grazia un po’ grossolana nel perderci tra l’intrico di mura, tra i vari piani di un purgatorio quanto mai apotropaico.

Ma ciò che l’architettura non svela di per sé, ci viene rivelata dalla vitalità. La luce sembra fuoco a Topolò, una flebile fiamma che anima l’oscurità più nera a valle, a cui viene concessa la grazia di essere baciata da una luna d’arint. Topolò esiste ancora perché non è più un luogo, ma una bolla di vita, d’umanità. Una inclusività portatrice di un messaggio aperto potenzialmente a tutti, purché Maometto s’incammini verso la montagna. Ma ciò che colpisce della Stazione di Topolò-Postaja Topolove, è la discrezione con cui ti lascia elaborare la scoperta. L’arte si rivela in punta di piedi; non a caso la ricerca dei luoghi d’incontro è lasciata alla curiosità del visitatore. La vista, sollecitata, rallegrata e liberata dai fardelli cittadini, non vi sarà di grande aiuto: è tutto nascosto a Topolò. Dovrete affidarvi agli altri sensi restanti per scoprire i segreti celati. Dai giardini che si aprono sulla vallata, ai cevapcici (con Ajvar) più gustosi del comprensorio, fino al chill out, con musica on air 24 su 24. Il cinema all’aperto è, ovviamente, il cuore pulsante dell’evento: non aspettatevi fuochi d’artificio, perché è tutto molto più intimo. L’avantgarde più pura si mescola ad un’arte più suggerita quasi spirituale, adatta ad un pubblico ridotto, che avrà, per una volta, il tempo di elaborare senza essere costantemente sollecitato sensorialmente. Lettura e teatro, la ricerca della strutturazione del suono attraverso la sua destrutturazione in unità minime, lo sperimentalismo visivo-ossessivo che sazia anche l’animo nero, è tutto contenuto in questa cassetta con le decorazioni natalizie che sceglie se stessa per imbellettarsi. Perché Topolove sarebbe solo un luogo, per quanto suggestivo, senza la stazione.

Valutare il confine tra arte-spiritualità e dilettantismo non è sempre facile, ma credo sia tra le intenzioni dell’organizzazione non voler dare una direzione artistica concreta, ma sfumare i limiti nell’indeterminatezza. Si, insomma, gli Sgarbi non sarebbero nelle coordinate artistiche di Topolò, per quanto non ci siano sfuggite alcune personalità che contano davvero (radio 2, la migliore radio d’Italia, ad esempio). Questa schiva autonomia non è forse voluta. E ci perdoneranno il sarcasmo se di fronte ad una realtà così soggettiva e disponibile negli intenti, il fiero autonomismo, nonché un radicato senso della proprietà un po’ montanaro, stridano con i proclami d’accoglienza ed ospitalità. La nostra tenda era posta sul giardino della chiesa, l’ultimo edificio sulla sommità della collina, faticosamente lontano dagli eventi, per quanto a due passi dalla rumorosa piazzetta, centro culinario della Postaja. Una zona di passaggio che non s’addice al riposo, come ci è stato maliziosamente suggerito dal plevant. C’è qualcuno che non vive benissimo la pacifica invasione dei giorni di Stazione, quasi a voler preservare ciò che c’è, ostinatamente ignorando che se c’è è merito di chi lo visita e ne tramanda la magia. Ma forse è anche questo Topolò, un paese imperfetto perché sedimentato, un po’ compromesso a causa della sua austera compostezza di confine. Non sarà infrequente incontrare qualche gerontocrate del luogo, consumato dalla solitudine e da un crudo delirio, che sbalordisce per realismo.
Chi viene a Topolò non viene per distruggere o rovinare, ma per animare. E ci sarà il dovuto tributo al silenzio, quanto è impossibile negare che l’ora tarda e il luogo si prestano al gozzoviglio e alla chiacchiera fino all’alba.

Perché scrivere di un evento appena terminato? Per due motivi essenziali: il primo è da ricercarsi nella totale assenza di informazioni e aspettative che, chi vi sta scrivendo, ha voluto mantenere nella sua prima volta. Il secondo è più emotivo: la postaja potrà lasciare qualcosa in voi soltanto se siete disposti ad accoglierla nella sua semplicità e nel suo garbo. E’ quindi una ricerca interiore, uno spunto, uno sguardo dissestato che possa mettervi in contatto diretto con l’Io quasi fanciullesca, proprio perché antico.
Il piacere di stare a Topolò si deve trasformare nel piacere d’essere Topolò. E’ questa l’accoglienza vagheggiata dalla Stazione, che però nasce in seno alla sensibilità di ognuno di noi che passa e, come spora, semina questa vaghezza come dono. Non parlate di Topolò, ma per Topolò; un’ esperienza interiore, una di quelle cose che lascia intatto l’incanto del silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

Topolovo wiki
Stazione di Topolò
Stazione Facebook

photos by Sara B.

 

 

 

Read Full Post »

Michael J. Sandel

Ho sempre pensato che accostare la parola filosofia al luogo sociale America fosse ossimoro, ma a quanto pare il prof. Michael J. Sandel non è dello stesso parere. Ordinario di filosofia politica e morale ad Harvard, ha tenuto dei corsi sul concetto di giustizia, applicato al contesto sociale americano. Le caratteristiche “nuove”, che hanno fatto la fortuna del personaggio, sono lo sfruttamento del dibattito aperto, in piena regola platonica, e l’aneddotica spiccia che porta il discorso filosofico su un piano sociale reale. A questi elementi deve ricondursi il successo (quasi) planetario del professor Sandel. Il suo esordio del corso “Justice”, ripreso dalle telecamere di una tv privata, è quantomeno classico:- Se aveste la possibilità di salvare cinque persone, uccidendone solo una, lo fareste? E perché? -. Niente di nuovo, quindi, ma il metodo misto e l’adattamento dei grandi temi sociali ad ogni tipo di pubblico, hanno trasformato Sandel nel nuovo guru della filosofia. Sebbene sia gnoseologicamente che ontologicamente non ci siano particolari novità, il merito di Sandel è d’aver aperto il metodo filosofico ai nuovi media, rendendo le tematiche accessibili, interattive e vitali.

Che questo metodo sia estensibile ad altre realtà filosofiche è tutto da verificare. In primo luogo perché l’America (ma anche l’oriente) è sempre stata incline a queste spettacolarizzazioni mediatiche. In secondo luogo perché il dibattito filosofico europeo è ad un altro livello di approfondimento e di tematiche. Credo che questa iniziativa, al di là dell’effettiva validità della proposta, meriti una certa considerazione. Innanzi allo stato comatoso in cui versa l’accesso alla filosofia e l’applicabilità della filosofia nel contesto sociale attuale (in Italia soprattutto), il merito di Sandel è aver ridestato l’interesse. Chissà se nella sua agenda programmatica il tentativo di rivitalizzare ciò che Stephen Hawkins ha definito “morto” o “in stato comatoso”, non parta da assunti solamente edonistici, ma azzardi un metodo per rendere fruibile il dibattito filosofico, applicandolo alla grande richiesta del popolo a vederci chiaro. Ritorna un tema caro alla filosofia pre-lumi, quello delle “idee chiare e distinte” che trovarono prima in Cartesio e poi in Locke i loro più tenaci (seppur opposti) postulatori. D’altra parte non si spiegherebbe altrimenti il successo planetario del suo corso di filosofia, né si spiegherebbe la necessità dei popoli asiatici ( tra i quali è nata una vera e propria Sandel-mania) di integrare il loro bagaglio filosofico già nutrito e diversificato da quello occidentale. Evidentemente non solo la globalizzazione comporta un nuovo assottigliamento e convergenza delle tematiche fondamentali dell’uomo, ma nel tragitto che ci ha portato a questo sistema-mondo s’è smarrito qualcosa. Ciò che è interessante notare nel corso di filosofia di Sandel è l’attiva partecipazione del’audience, sia quello presente in aula, sia il telespettatore (passatemi il termine) a casa che si sente appassionatamente coinvolto dalla dialettica sandeliana. Ripeto: chi cerca qualcosa di nuovo ha sbagliato porta, ma chi è in cerca di nuovi spunti e nuove metodologie pratiche potrebbe incontrare delle sorprese.

Era stata già abbozzata un’idea del genere nel nostro ateneo. Per la precisione il sottoscritto aveva lanciato l’idea di lezioni via webcam che potessero essere seguite sul sito dell’università o da casa. Ci è stato risposto che alcuni professori non avrebbero acconsentito all’operazione. Le motivazioni recondite non ci sono state fornite, ma le possiamo abbozzare lo stesso:
1) L’importanza della lezione in classe e la partecipazione ne verrebbe compromessa.
Vero, per certi versi. In un ateneo piccolo come quello di Udine, la possibilità di una archivistica sperimentale di questo tipo potrebbe portare gli studenti allo studio non partecipativo. Eppure le aule di Sandel sono gremite di studenti ed interessati. Senza contare che un tentativo non equivale ad un successo, ma se non altro accenderebbe l’interesse in più sfere di competenza.

2) Andrebbe rivisto il rapporto studente-professore e alcune dinamiche d’insegnamento dovrebbero necessariamente evolversi.
Anche questo in parte è vero. Però già oggi molti professori hanno adottato uno stile più colloquiale e aperto al confronto in aula. Bisognerebbe soltanto istituzionalizzarlo di modo da renderlo più fluido. La qual cosa si può ottenere sia a tavolino studiando una didattica specifica, oppure facendo pratica. Già alcuni professori fuori sede hanno adottato la videoconferenza per ovviare all’impossibilità dell’ubiquità. Quindi perché non renderlo pubblico ed istituzionale?

3) Non è adattabile a tutte le materie e a tutti i docenti.
D’accordo. Infatti nessuno chiede che venga esteso a tutti i corsi dell’ateneo di Udine, altrimenti l’effetto sorpresa ne verrebbe drasticamente compromesso. E credo che nessuno si scandalizzerebbe se non ci fosse una spettacolarizzazione stile talk-show come nei corsi di Sandel. Eppure, a parer mio, molti dei nostri professori avrebbero le qualità e le competenze per poterlo fare.

4) Mancano le risorse.
No. Quest’operazione ha costo zero.

5) L’approfondimento didattico verrebbe ridotto, semplificato, ridicolizzato.
Inevitabile quando si parla di accessibilità. Riferire Platone ed Aristotele a temi d’attualità grezza non è buon metodo, tanto quanto quello di partire dalla parole per definire la cosa. Ma credo che ogni studente sia tenuto sia in cuor suo, sia a causa del “programma d’esame” ad approfondire certi temi con l’ausilio dei testi e dei saggi. In fin dei conti per lo spettatore-studente non si tratta d’un esame di popolarità, ma di una tappa nel proprio percorso di studi.

Qui uno stralcio da You tube del corso di Michael Sandel intitolato “Justice”. Se vi appassiona cercate i video seguenti sulla banda dei suggerimenti di You tube. Troverete alcuni video anche nella sezione “Existenz” de “Lo Spaccio”.

Read Full Post »

In ogni indagine filosofica che si rispetti andrebbe specificato aprioristicamente qual è l’orizzonte che l’oggetto filosofico intende scandagliare e perseguire. Innanzi ad una domanda apparentemente semplice come “che cos’è questo blog?”, mi si sono presentati dei “dilemmi a cascata”, ben più a monte del quesito di cui sopra. Primo tra i quali: perché un blog?
Proprio perché questo esperimento è una concertazione tra più menti e, di conseguenza, tra più coppie di mani, ognuno di noi esprime le incertezze, le credenze, i sofismi e le teorie con le quali sente di avere più affinità ed attitudine. Nella più totale e piena libertà espressiva. Nel caos ideologico che potrebbe generarsi, l’unica vera fonte di giudizio ontologico (ovvero sull’essenza) potrebbe derivare da voi tutti che, con coscienza o meno, vi approccerete all’ozio con noi. Ma credo stia proprio nel de-oggettivare un obiettivo comune, la portata della grandezza filosofica de ‘Lo spaccio’.
Nell’intuizione che ha fatto balenare l’idea, ci siamo accorti che – oltre alla volontà comune di accentare il nostro polo universitario, con una proposta filosofico-letteraria, in aperta controtendenza alle dinamiche scientifico-economico-giuridiche che hanno spinto la cultura a questo stato letargico – il pensare comune ci sta portando alle soglie di una coscienza comune. E se questo è avvenuto tra di noi, è possibile che si permuti, in qualche modo, anche all’esterno.

Prendendo spunto dalla lettura dell’opus magnum di Peter Sloterdijk, filosofo tedesco postmodernista, ‘Sfere’, colgo l’occasione per precisare alcuni punti o appunti che è giusto tenere a mente.

1) Lo spostamento della cultura da luoghi fisici a luoghi virtuali, riflette lo stesso scarto che l’individuo postmoderno è portato a compiere, per mantenere un cantuccio vitale non afflitto dall’ipercineticità dello spazio esterno mondano.

2) Con “spazio esterno mondano” intendo tutte le attività che l’uomo può o deve compiere, persino nell’ambito dell’intimità più duale, a causa o concausa dell’irruzione del capitale. Il capitale ha permesso a grandi sacche di umanità, il raggiungimento e il consolidamento di un benessere generalizzato. Come è stato dimostrato da uno dei più famosi antropologi del secolo scorso, Claude Levy Strauss, il dato più sensazionale, non solo del XX secolo, ma di tutta la storia dell’umanità, è stata l’impennata demografica in poco più di un secolo.

3) Ma a quale prezzo? Se è vero che il welfare è il termostato dell’habitat in cui nasciamo, la temperatura raggiunta da questa “serra globale” ha desertificato il campo d’indagine metafisica o, se non crediamo ai fantasmi, soggettiva. Le scienze si sono poste come parziale risposta frammentando, non solo l’indagine umana, ma frantumando gli spazi vitali entro cui un essere complesso e composito come l’uomo può muoversi; grazie ad una tecnocrazia involutiva. La religione, incarnata nei potentati monoteistici ancora resistenti all’ondata di scettico ateismo, non ha saputo rinnovarsi e, questa la loro colpa più grave, non ha saputo smarcare le proprie posizioni a fronte della complessità di risposte che gli individui esigono o ricercano. Il potere politico ha stretto un sodalizio inscindibile con l’economia, ritenendo a torto o a ragione, che il welfare determinato dal capitale, potesse sostituirsi al mandato di legge naturale e civile che abbiamo loro consegnato nella notte dell’uomo. Le leggi attuali, per quanto mi riguarda, sono soltanto un modo coercitivo per mantenere lo stato di cose esattamente com’è. Alla faccia dell’anacronismo o di chi la può pensare diversamente su molte questioni. Alla faccia della democrazia, quindi.

4) Tutto ciò, naturalmente, all’atto della nascita non ci viene notificato. Per loro “accettare un lavoro”, nemmeno ricercarlo, è una prassi collaborativa consolidata. E siccome la verità, dagli inizi della modernità ad oggi, coincide con la verità (parzialità, prego) della scienza, coloro che intraprendono un’attività umanistica, vengono ostracizzati, derisi, ghettizzati. Salvo poi, per comodità, venir riformati con logiche del tutto estranee. “La cieca fede nella scienza”, che ho sempre interpretato come un capzioso rifiuto di tutto ciò che non seguisse leggi empiriche, meccaniche e rigorose, altro non è che la limitatezza nel giudicare se stessi.

5) E soprattutto nel giudicare gli spazi che ci appartengono. Ovunque ci muoviamo, all’interno di questa società, troviamo soltanto ambiti che si intersecano, ma che non possediamo. Nonostante l’illusione della proprietà privata e dei beni materiali. Nonostante tutto sia corredato di pronomi possessivi.

Bene, questo blog non è il nostro blog. Questo è semplicemente [lo spaccio]. Posto così, tra parentesi. Un punto di slancio oltre la serra globale che, ahinoi, non occlude lo sguardo, ma immobilizza i tentativi. [Lo spaccio] sarà quel luogo virtuale, quindi creato secondo le regole dell’era elettronica, che dovrà materializzarsi ovunque. Ecco perché è nostro preciso compito, nonché dovere, fare in modo che la lettura e la comprensione, siano innervate da qualcosa di più che un mero opinionismo.

6) Cercheremo di ricreare, artificiosamente, uno spazio di inclusione, in piena e ostile antitesi con l’esclusivismo e il relativismo imperante. Mi piacerebbe poterla paragonare ad un’oasi per inetti. E se nel farlo distruggeremo questa “babele orizzontale”, questo intersecarsi di punti e di rette, allora avrà sortito gli effetti sperati nei loro creatori. Che più che creatori sono semplici esecutori del disagio.

E’ un po’ come chiedere ‘scusa’. Una volta ci si doveva genuflettere, curvarsi per ottenere il perdono. Ora basta ripercorrere a ritroso un percorso di menzogne, opinioni, falsificazioni, fino ad aggirare l’ostacolo, con l’assoluta e arrogante presunzione che un pareggio sia sempre meglio di una sconfitta.

Read Full Post »