Ho sempre pensato che accostare la parola filosofia al luogo sociale America fosse ossimoro, ma a quanto pare il prof. Michael J. Sandel non è dello stesso parere. Ordinario di filosofia politica e morale ad Harvard, ha tenuto dei corsi sul concetto di giustizia, applicato al contesto sociale americano. Le caratteristiche “nuove”, che hanno fatto la fortuna del personaggio, sono lo sfruttamento del dibattito aperto, in piena regola platonica, e l’aneddotica spiccia che porta il discorso filosofico su un piano sociale reale. A questi elementi deve ricondursi il successo (quasi) planetario del professor Sandel. Il suo esordio del corso “Justice”, ripreso dalle telecamere di una tv privata, è quantomeno classico:- Se aveste la possibilità di salvare cinque persone, uccidendone solo una, lo fareste? E perché? -. Niente di nuovo, quindi, ma il metodo misto e l’adattamento dei grandi temi sociali ad ogni tipo di pubblico, hanno trasformato Sandel nel nuovo guru della filosofia. Sebbene sia gnoseologicamente che ontologicamente non ci siano particolari novità, il merito di Sandel è d’aver aperto il metodo filosofico ai nuovi media, rendendo le tematiche accessibili, interattive e vitali.
Che questo metodo sia estensibile ad altre realtà filosofiche è tutto da verificare. In primo luogo perché l’America (ma anche l’oriente) è sempre stata incline a queste spettacolarizzazioni mediatiche. In secondo luogo perché il dibattito filosofico europeo è ad un altro livello di approfondimento e di tematiche. Credo che questa iniziativa, al di là dell’effettiva validità della proposta, meriti una certa considerazione. Innanzi allo stato comatoso in cui versa l’accesso alla filosofia e l’applicabilità della filosofia nel contesto sociale attuale (in Italia soprattutto), il merito di Sandel è aver ridestato l’interesse. Chissà se nella sua agenda programmatica il tentativo di rivitalizzare ciò che Stephen Hawkins ha definito “morto” o “in stato comatoso”, non parta da assunti solamente edonistici, ma azzardi un metodo per rendere fruibile il dibattito filosofico, applicandolo alla grande richiesta del popolo a vederci chiaro. Ritorna un tema caro alla filosofia pre-lumi, quello delle “idee chiare e distinte” che trovarono prima in Cartesio e poi in Locke i loro più tenaci (seppur opposti) postulatori. D’altra parte non si spiegherebbe altrimenti il successo planetario del suo corso di filosofia, né si spiegherebbe la necessità dei popoli asiatici ( tra i quali è nata una vera e propria Sandel-mania) di integrare il loro bagaglio filosofico già nutrito e diversificato da quello occidentale. Evidentemente non solo la globalizzazione comporta un nuovo assottigliamento e convergenza delle tematiche fondamentali dell’uomo, ma nel tragitto che ci ha portato a questo sistema-mondo s’è smarrito qualcosa. Ciò che è interessante notare nel corso di filosofia di Sandel è l’attiva partecipazione del’audience, sia quello presente in aula, sia il telespettatore (passatemi il termine) a casa che si sente appassionatamente coinvolto dalla dialettica sandeliana. Ripeto: chi cerca qualcosa di nuovo ha sbagliato porta, ma chi è in cerca di nuovi spunti e nuove metodologie pratiche potrebbe incontrare delle sorprese.
Era stata già abbozzata un’idea del genere nel nostro ateneo. Per la precisione il sottoscritto aveva lanciato l’idea di lezioni via webcam che potessero essere seguite sul sito dell’università o da casa. Ci è stato risposto che alcuni professori non avrebbero acconsentito all’operazione. Le motivazioni recondite non ci sono state fornite, ma le possiamo abbozzare lo stesso:
1) L’importanza della lezione in classe e la partecipazione ne verrebbe compromessa.
Vero, per certi versi. In un ateneo piccolo come quello di Udine, la possibilità di una archivistica sperimentale di questo tipo potrebbe portare gli studenti allo studio non partecipativo. Eppure le aule di Sandel sono gremite di studenti ed interessati. Senza contare che un tentativo non equivale ad un successo, ma se non altro accenderebbe l’interesse in più sfere di competenza.
2) Andrebbe rivisto il rapporto studente-professore e alcune dinamiche d’insegnamento dovrebbero necessariamente evolversi.
Anche questo in parte è vero. Però già oggi molti professori hanno adottato uno stile più colloquiale e aperto al confronto in aula. Bisognerebbe soltanto istituzionalizzarlo di modo da renderlo più fluido. La qual cosa si può ottenere sia a tavolino studiando una didattica specifica, oppure facendo pratica. Già alcuni professori fuori sede hanno adottato la videoconferenza per ovviare all’impossibilità dell’ubiquità. Quindi perché non renderlo pubblico ed istituzionale?
3) Non è adattabile a tutte le materie e a tutti i docenti.
D’accordo. Infatti nessuno chiede che venga esteso a tutti i corsi dell’ateneo di Udine, altrimenti l’effetto sorpresa ne verrebbe drasticamente compromesso. E credo che nessuno si scandalizzerebbe se non ci fosse una spettacolarizzazione stile talk-show come nei corsi di Sandel. Eppure, a parer mio, molti dei nostri professori avrebbero le qualità e le competenze per poterlo fare.
4) Mancano le risorse.
No. Quest’operazione ha costo zero.
5) L’approfondimento didattico verrebbe ridotto, semplificato, ridicolizzato.
Inevitabile quando si parla di accessibilità. Riferire Platone ed Aristotele a temi d’attualità grezza non è buon metodo, tanto quanto quello di partire dalla parole per definire la cosa. Ma credo che ogni studente sia tenuto sia in cuor suo, sia a causa del “programma d’esame” ad approfondire certi temi con l’ausilio dei testi e dei saggi. In fin dei conti per lo spettatore-studente non si tratta d’un esame di popolarità, ma di una tappa nel proprio percorso di studi.
Qui uno stralcio da You tube del corso di Michael Sandel intitolato “Justice”. Se vi appassiona cercate i video seguenti sulla banda dei suggerimenti di You tube. Troverete alcuni video anche nella sezione “Existenz” de “Lo Spaccio”.
Lascia un commento