Dopo tre anni, ho pubblicamente rinunciato agli studi. In parte per motivi personali, e quasi interamente per quella che potrei definire solo come la fine di una storia d’amore. Di quelle grandiose, che ti tolgono il respiro e ti spingono a fare pazzie: studiare fino alle quattro del mattino senza sentire la stanchezza, aggiungere libri al programma di propria iniziativa, farsi prendere da un argomento al punto da stressare tutti quelli che hanno la pazienza di ascoltarti perché leggano quel saggio o quell’articolo. Snobbare sdegnosamente i romanzi, a meno che non siano inerenti al tema che si sta studiando. Saltare i pasti per seguire tutte le lezioni. E farlo volentieri, tutto per amore.
Poi le cose iniziano lentamente a cambiare. I corsi sono sempre interessanti, certo, la passione è intatta. Ma inizi a pensare sempre più spesso alle delusioni. Un esame andato male dopo due mesi di studio. Le promesse infrante, le discussioni senza motivo, le assenze ingiustificate. Ti scopri a tradirla con romanzetti fantasy di dubbio gusto per il solo motivo che non vuoi pensarci. Ti accanisci sui libri consapevole che devi leggere due, tre, quattro volte la stessa riga e che comunque non ti rimane nulla dentro. Ti senti vuoto. E alla fine ti rendi conto con orrore che non sei più la persona di prima: non hai voglia di uscire, non hai voglia di parlare con la gente, non hai idee, ti viene la nausea a guardare lo scaffale pieno di libri di testo. Sei deluso e amareggiato e sai, senza ombra di dubbio, di essere diventato una persona peggiore di quella che eri. E non ce la fai più a sopportarlo.
Se tornassi indietro, mi iscriverei nuovamente all’Università: per le persone che ho incontrato e per le cose che ho imparato. Ma c’è qualcosa di marcio in un sistema che ti spinge ad accumulare CFU invece di preoccuparsi se hai capito l’argomento e se ci hai ragionato. Io non sono capace di studiare così, ci ho provato una volta sola e non sono più riuscita a uscirne. Ma il fallimento non è solo mio, ed è il motivo per cui ho scritto questo post. Se state studiando a pappagallo per la media e per i crediti, state disonorando quello che dovrebbe essere un approccio sano allo studio e alla cultura. E non importa che a differenza di me ci stiate riuscendo; non ha alcun valore. E non importa che è esattamente questo quello che vogliono da voi: sono loro in errore.
Buona fortuna.
Cara Fabiana,
premettendo che mi dispiace molto leggere queste tue parole, mi sento di lasciare una mia piccola personale riflessione su quanto scritto.
Mi trovo assolutamente d’accordo sull’inefficienza e l’inadeguatezza del sistema universitario in cui ci troviamo immersi, a livello locale e, forse, addirittura universitario. Ritengo sia molto difficile per noi cercare di migliorare le cose, se dall’alto non arriva alcun segnale di collaborazione. Tuttavia, come studente ancora in fase di accumulo CFU ed in dirittura di laurea, mi sento di dover difendere ciò in cui fondamentalmente credo e su cui investo molte delle mie energie.
Se l’approccio allo studio fosse diverso, senza dubbio la nostra preparazione sarebbe di livello superiore e ci permetterebbe, cosa difficile al momento, di entrare in reale competizione con le realtà straniere. Detto ciò, non possiamo riversare tutte le colpe e le responsabilità dei nostri ripensamenti/fallimenti/delusioni solo ed esclusivamente all’esterno. E’ pratica comune al giorno d’oggi; io difficilmente me ne adeguerò, anche un domani.
Siamo pedine in una piattaforma che non controlliamo, ma è questa la strada da seguire, purtroppo o per fortuna, per tentare di costruirci un futuro migliore.
Sono tante le possibilità per non disonorare, come dici tu, l’approccio sano allo studio e alla cultura, senza rinunciare al conseguimento di un titolo di studio. Non è altro che un pezzo di carta, un accumulo di CFU e probabilmente un colabrodo di conoscenze che vacillano qua e là, ma è l’unico strumento di cui disponiamo per cercare di garantire a noi stessi un’esistenza dignitosa.
Non giudico inferiore o debole chi non ha conseguito la laurea o un diploma, anzi. Credo semplicemente non corretto addossare l’intera responsabilità di un tale ritiro al sistema sociale di cui siamo parte. Se nessuno combatte, nulla mai cambierà.
Detto ciò, in leggera polemica non a te Fabiana come persona ma alla posizione di cui ti sei fatta portavoce,
ti auguro sinceramente tutto il meglio per il futuro, prossimo e remoto.
Lisa
Non voglio prendere parti, o giudicare un’azione (forse morale in questo caso) che è stata (e continua ad essere) dolorosa. In certe questioni qualcosa di personale filtra sempre, ci fa propendere per una tesi, anziché scovarne le radici profonde. Sicchè, cara Fabi, non posso sposare totalmente le tue ragioni, come non credo, come sostiene Lisa, che il tuo fosse un volerti scaricare la coscienza. I primi due paragrafi tradiscono tutta l’insoddisfazione per questo tuo fallimento. Ma credo che tu sappia benissimo che ogni cosa, specialmente le storie d’amore, necessitano di ossigeno e condivisione. Nel momento in cui vengono a mancare queste premesse, anche la più insana passione subisce un ridimensionamento. La voglia si fa pesantezza, gli insuccessi catastrofi emotive, il silenzio e l’ascetica reclusione ergono una stanza senza finestre e con pareti fono-assorbente dove le giustificazioni sostituiscono la trasparenza verso se stessi. Comprendo anche il tuo disgusto per le mezze misure, per i compromessi, e ciò, fa onore alla tua intelligenza. Ma quando incontri una persona per strada che non hai voglia di salutare, il tuo primo pensiero potrà anche essere quello di cambiar strada, ma a volte capita che ci andrai a sbattere addosso, perché non si può essere sempre lucidi e presenti e in quel frangente non potrai sottrarti al ‘compromesso’. Essi sono ovunque e tutti noi ne subiamo l’effetto: anche i professori che devono farsi garanti di un ‘protocollo’ a cui forse non credono nemmeno.
So anche cosa voglia dire rileggere la stessa riga sperando di ricordarsela. Ed è qui forse che rovesci la prospettiva: le difficoltà ti hanno svuotata? Oppure è per il fatto che ti sei svuotata, in qualche modo, che trovi difficoltà? Opto per la seconda ipotesi. E non è detto che ci sia solo una causa, anche nel tuo caso. Io appoggio in pieno la tua volontà di rallentare\sospendere gli studi perché uno dev’essere sempre cosciente di ciò che fa e soprattutto perché lo fa. E se manca una tensione teleologica forte, manca anche la necessaria forza interiore per perseguire tale scopo. E’ la stessa differenza che intercorre tra ‘avere voglia’ e ‘volere’. Ed è alla luce del tuo esordio sul post che trovo sconcertante la chiosa. Voglio dire: non avresti fatto meglio ad ammettere a te stessa che, per una serie di sfortunati eventi, non sarai quella persona che avresti voluto essere, ma progredirai lo stesso verso una direzione dotata di senso? Traducendo nel pratico: forse non sarai una che ce la fa in tre anni e nemmeno in quattro. Dovrai prenderti tutto il tempo di cui necessiti, ma non per questo rinuncerai a quella tensione (in senso elettromagnetico) che ti ha (s)mossa. E non per ottenere una laurea, ma per ottenere proprio quel risultato, come persona, che è l’obiettivo minimo per non vedersi sempre vuoti. A quel punto i cfu diventerebbero un problema ancora minore della malcelata svogliatezza con cui i professori non sanno nemmeno cosa dirci, al di fuori di quella che è la loro materia. Io noto nei loro modi un distacco quasi scettico rispetto a quella che Epitteto (se non sbaglio) chiamava ‘indifferenza alle cose indifferenti’. Che non è menefreghismo, è più un’impossibilità d’intervento. Io nei loro occhi leggo lo stesso smarrimento, quasi stessimo facendo delle materie scientifiche…
Fossi stato in te, e non lo sono, avrei sospeso, non rinunciato. Perché le premesse riguardo la società le conoscevi già. Già al secondo anno tutte le difficoltà di un piano di studi, o meglio, di un piano universitario erano emerse. A livello centrale. Noi siamo solo l’ultimo carro a subire i dissesti della rotabile. E allora perché sorprendersi di essersi disillusi di un’illusione? Forse lo sbatterci la testa è stato troppo duro? Quando il professor Lavecchia mi diede letteralmente del deficiente, avrei tanto voluto chiedergli se uno con un taglio di capelli del genere può permettersi di dare dello stupido ad un altro. Poi probabilmente ho capito che ciò che in maniera maldestra stava provando a spiegarmi era:- Devo lavorare con il materiale umano che c’è. Il ché nella maggioranza dei casi sono studenti che non dovrebbero fare filosofia. Aggiungici che non ho ancora trovato un sinonimo della parola ‘principio’ e capirai la mia frustrazione-.
Quello che non mi spiego è come hai potuto pensare, dopo quello che hai letto sulla filosofia psicologica, di prendere una decisione del genere dentro al tuo mondo ormai senza speranza. Tu che al pari di Lisa e gli altri, hai tutta la vita davanti. Sai perché mi sono iscritto a filosofia? Non perché mi piacesse, quello è successo dopo, perché mi sono semplicemente detto che l’unica cosa che non avrei mai voluto è ‘morire come un’idiota’. E questa è l’unica motivazione che mi spinge a dare esami come Storia Moderna. Società, cfu, default,spread. L’unica cosa che cerco di recuperare è l’ira nei confronti di questi tempi in cui la gente crede che gli imperi si costruiscano da soli e magari nell’iperrealtà. Ira per non morirne, capisci?
Non credo che così come stanno messe le cose, l’università possa fornirci degli strumenti. Certo se uno la guarda da questa prospettiva, troverà anche questo alibi, onorevole tra l’altro. Ma gli strumenti non sono sufficienti. Servirebbe una meritocrazia interna più affettuosa. Servirebbero incoraggiamenti e non versioni paternalistiche della cosa. Servirebbero metodi per non depotenziare il valore di ognuno di noi al di là del fatto che siamo generazioni con un background culturale inferiore, che partono, rispetto ai prof stessi, con un gap quasi incolmabile. Loro non incolpano noi di questo, ma nemmeno si fanno in quattro per capire dove sta il problema. Allora tanto varrebbe prendersi dal sito dell’università i programmi e parallelamente alla nostra vita, interessarci a quei temi, senza stress e senza esami. Ma anche quelli hanno una qualche importanza pedagogica e credo che la tua storia possa testimoniarlo.
Io non sto qui a dirti ‘brava’, ‘grazie’, ‘in bocca al lupo’. Io spero solo tu possa rifletterci.
A dire il vero non so se la mia è una rinuncia definitiva. Come puoi immaginare, lo studio conserva per me un’attrattiva quasi magnetica. Voglio sapere, voglio imparare, voglio leggere cose che mi facciano riflettere e progredire. Ma non sbagli quando dici che trovo difficoltà perchè sono svuotata. Mi sento meno sveglia, meno pronta alle novità, meno rapida a cogliere i sottintesi e gli spunti. Quasi più stupida. Di certo più insicura. E non dico che sia completamente colpa dell’Università: eravamo in due, in questa storia travagliata. E anche se non ho mai apprezzato le “pause di riflessione”, perchè credo siano sinonimo di “non voglio ammettere che è finita”, credo di dover tirare un grosso respiro e chiedermi che cosa voglio. Sai cosa mi spaventa? Il sollievo che provo quando qualcuno mi parla delle sue magagne con l’Università.